IL SANGUE VERDE di Andrea Segre (ZaLab - 2010)

La voce dei braccianti africani che hanno manifestato a Rosarno

contro lo sfruttamento e la discriminazione.

7 volti, 7 storie e un'unica dignità.

Gennaio 2010, Rosarno, Calabria. Le manifestazioni di rabbia degli immigrati mettono a nudo le condizioni di degrado e ingiustizia in cui vivono quotidianamente migliaia di braccianti africani, sfruttati da un'economia fortemente influenzata dal potere mafioso della 'Ndrangheta. Per un momento l'Italia si accorge di loro, ne ha paura, reagisce con violenza, e in poche ore Rosarno viene "sgomberata" e il problema "risolto". Ma i volti e le storie dei protagonisti degli scontri di Rosarno dicono che non è così. Scovarle e dare loro voce è oggi forse l'unica via per restituire al Paese la propria memoria: quella di quei di giorni di violenza e quella del proprio recente quanto rimosso passato di miseria rurale.
Prodotto da ZaLab in coproduzione con Aeternam Films con la collaborazione diRAI3 - Doc3 JoleFilm e la partecipazione di AAMOD con il patrocinio di Amnesty International- sezione italiana vai a credits completi

SINOSSI

ZaLab
presenta
IL SANGUE VERDE
di Andrea Segre
Fotografia: Luca Bigazzi e Federico Angelucci, Matteo Calore.
Montaggio: Sara Zavarise
musiche originali: Piccola Bottega Baltazar
prodotto da: Andrea Segre (ZaLab) in collaborazione con Francesco Bonsembiante (JoleFilm) e Francesca Feder (Aeternam Films)
(miniDV - 57' - 2010) 
SINOSSI
Le voci, i volti e le storie dei protagonisti delle manifestazioni che nel Gennaio 2010 in un piccolo paese della Calabria, Rosarno, hanno portato alla luce le condizioni di degrado e ingiustizia di migliaia di braccianti africani.
Dagli anni '90 in Italia, in particolare in alcune aree del Sud con forte presenza di organizzazioni mafiose, migliaia di immigrati africani e dell'est Europa sono sfruttati nell'agricoltura senza alcun tipo di diritto e in condizioni di vita intollerabili.
A Rosarno in particolare, dove il potere della 'Ndrangheta è cresciuto moltissimo negli ultimi anni fino a portare al commissariamento per mafia del Comune, gli immigrati sfruttati nella raccolta delle arance sono anche oggetto di intimidazioni e minacce da parte di piccole bande di stampo mafioso.
Per oltre dieci anni, come ben racconta nel film  Giuseppe Lavorato, ultimo sindaco di Rosarno che tentò di opporsi al potere della 'Ndrangheta, gli immigrati africani hanno cercato di denunciare pacificamente questa situazione.
Il 7 gennaio 2010, dopo l'ennesimo episodio di violenza contro quattro di loro, hanno deciso di far esplodere la rabbia e hanno dato vita ad una manifestazione molto forte, durante la quale vi sono stati anche episodi di saccheggio e distruzione.
Così in quelle ore l'Italia si è accorta di loro, ne ha preso paura e ha reagito con violenza: il Governo Berlusconi, per voce dei Ministri dell'Interno e della Difesa, ha dichiarato che quelle manifestazioni erano frutto di "eccessiva tolleranza nei confronti dell'immigrazione clandestina" e ha ordinato l'espulsione di tutti gli immigrati da Rosarno. Nel frattempo nella regione si stava scatenando una vera e proprio caccia al nero da parte di cittadini italiani, probabilmente organizzati dai locali poteri mafiosi.
In poche ore Rosarno è stata "sgomberata" e il problema "risolto": in televisione la classe politica, al fine di mietere consenso nell'opinione pubblica impaurita, ha raccontato che in quel modo era stata riportata la legalità e che gli immigrati sprovvisti di documenti sarebbero stati velocemente espulsi dall'Italia.
Così non è stato.
Nei giorni successivi è calato il silenzio sulla vicenda, ma quasi tutti gli immigrati di Rosarno sono stati rilasciati e abbandonati a sè stessi in giro per l'Italia: da Caserta a Roma, da Napoli a Castelvolturno, mentre alcuni hanno addirittura deciso  di tornare di nascosto negli aranceti di Rosarno. E' in questi luoghi di fuga che, pochi giorni dopo le manifestazioni, abbiamo incontrato 7 protagonisti di queste vicende, chiedendo a loro di raccontare non solo cosa fosse successo, ma come fosse la loro vita in Italia.
Ne è nato un racconto in prima persona che, alternato alla memoria storica rappresentata dalle ricostruzioni di Giuseppe Lavorato e dalle immagini di documentari sul lavoro di contadini italiani nel Meridione degli anni'60, riporta al centro dell'attenzione la dignità e il coraggio di centinaia di ragazzi, che dalle loro terre di origine si sono messi in viaggio per salvare o cambiare la loro vita.
NOTE DI REGIA
Volevo fare un documentario costruito sulle due anime più profonde del documentario: il pensiero parlato e il racconto del territorio. Ciò che volevo raccontare non è la superficie, sia pur importante, del fenomeno lacerante e drammatico dello sfruttamento di lavoratori immigrati e del razzismo che lo accompagna, ma vorrei provare ad entrare nella profondità umana di chi vive e pensa questa situazione. Tentare di avvicinare lo spettatore all'intimità e alla dignità di una condizione quotidianamente inevitabile e storicamente ancora lontana dall'essere risolta: quella dello sfruttamento di lavoratori stranieri, isolati e senza diritti.
Sono partito da una mia curiosità.
Voglio capire cosa vive nel suo cuore, nella sua anima, nella sua intelligenza una persona che capisce l'ingiustizia della propria esistenza, ma non può far altro che cercare di sopravviverne.
Una persona che vive nel limbo storico tra l'assenza totale di diritti per i lavoratori immigrati e le prime lotte per conquistarle. E lo vive in un Paese dove esiste un secondo Stato superpotente e non controllabile, quello Mafioso, a cui ribellarsi è terribilmente pericoloso. Lo vive in un Paese che non ha ancora fatto i conti con la propria storia di Paese emigrante. In un Paese che è l'unico in Europa dove il Ministero degli Interni è controllato da una forza politica, la Lega Nord, spesso esplicitamente xenofoba. E lo vive in un Paese il cui sistema mediatico è ancora quasi completamente incapace di restituire soggettività al cittadino straniero, strangolandolo nello spazio stretto compreso tra compassione e paura, tra vittimizzazione e criminalizzazione.
A queste persone voglio dare il tempo di farmi e farci ascoltare, farmi e farci capire. Per scoprire. Scoprire punti di vista che non abbiamo solitamente il coraggio di prendere, di condividere, di rispettare.
Scoprirne le emozioni, i sentimenti,i pensieri e scoprirne i giudizi, le analisi.
Gli immigrati non sono oggetti delle emergenze e dei problemi, ma sono soggetti che vivono, soffrono, sorridono, godono, faticano, riflettono, decidono. Ma per farlo devono prima di tutto lottare contro la superficie della loro condizione pubblica, non privata, non soggettiva di "immigrato"
Andrea Segre
I PROTAGONISTI
I ragazzi che ho intervistato (tutti nella lingua per loro più idonea al bisogno di raccontare: inglese, francese e in un caso in djoula, dialetto africano della Casamance) sono: 
ABRAHAM – 30enne ghanese che vive a Pescopagano, frazione vicino Castelvolturno completamente abbandonata dagli italiani e abitata quasi solo da Africani. Ha ottenuto la protezione umanitaria dopo 11mesi di centro accoglienza in cui pensava di impazzire. Poi é andato a Rosarno, perchè non c’era altro da fare.
Persona di grande delicatezza e capacità analitica. 
JOHN – 34enne ghanese che vive ad Afragola, in un appartamento-scantinato vecchio, freddo e ammuffito. Dopo varie disavventure burocratiche, nel marzo 2010 ha ottenuto il permesso di soggiorno. Dal 2007 lavora come contadino in tutto il sud ed anche a Rosarno:  racconta con grande lucidità le differenze tra i diversi anni e i rapporti tra africani e rosarnesi. Racconta con chiarezza le scelte di manifestare contro le violenze a Rosarno. 
AMADOU – 24enne senegalese con regolare permesso di soggiorno che vive tra la ricca Conegliano (TV) e Rosarno, dove l’abbiamo incontrato, ancora “nascosto” in una casa in mezzo agli aranceti. E’ una vera e propria stalla, senza luce e senza acqua, dove vivono in 15 in attesa di poter lavorare. Erano andati via dopo gli scontri, ma nemmeno due settimane dopo sono tornati. Prima della crisi, Amadou lavorava come falegname a Conegliano con regolare contratto. 
ZONGO – 28enne burkinabè che vive oggi a Caserta. Ha fatto ricorso contro il diniego avuto dalla commissione asilo ed ha da poco ottenuto lo status di rifugiato. Vive in una casa di accoglienza gestita dal centro sociale ex-Canapificio. E’ un cantante rap e molto attivo per i diritti dei migranti. Ha lavorato nelle campagne dal 2008: tabacco, broccoli, pesche, pomodori, arance. Ha raccolto di tutto. Ha fatto un viaggio incredibile, subendo le violenze più dure dalla polizia libica e partecipando a rivolte all’interno delle carceri libiche. Quello che si dice: un tipo tosto. 
ABRAHAM – 28enne ivoriano che vive a Caserta insieme a Zongo. Ha ottenuto l’asilo politico, come profugo della guerra ivoriana. Il suo sogno era fare il calciatore, ma è finito a fare il contadino. Anche lui ha fatto di tutto e a Rosarno è stato ferito, nello stesso braccio dove l’aveva ferito anche la polizia libica. E’ una persona molto più delicata e silenziosa di Zongo, con cui ha fatto il viaggio in barca insieme e di cui oggi è molto amico. 
JAMADU – 35enne congolese di passaggio a Roma
Ha una storia di emigrazione molto complessa, legata alla sua voglia di viaggiare e non ad una particolare necessità. Non ha mai vissuto in un luogo stabile, ma è sempre stato in giro nel Sud Italia a fare il contadino. A Rosarno è stato per tre anni consecutivi, fino all’ultima fuga. Oggi è a Roma, ospitato dal Centro Sociale ex-Snia insieme ad altri 25 africani in fuga da Rosarno. Ma non sa cosa farà e dove andrà. 
KALIFA – 32enne ivoriano di passaggio a Roma
Aveva una vita felice, con un buon lavoro e una formazione professionale di alto livello  come allevatore di polli. Poi in Costa d'Avorio è arrivata la guerra. E’ fuggito. In Italia ha trovato solo la vita per strada e il nuovo schiavismo (come vuole chiamarlo lui). Eppure l’Italia è lo stesso Paese che da pochi giorni gli ha dato la protezione umanitaria e i documenti. Ma non bastano. La vita continua a essere terribilmente dura e sa che se le cose non cambieranno continuerà ad essere uno schiavo, uno schiavo protetto. L’unica consolazione è che un giorno potrà spiegare molte cose ai suoi figli (ne ha due) su come va il mondo. E’ persona di grande profondità e i suoi silenzi parlano più delle sue parole. 
GIUSEPPE LAVORATO - 74enne, italiano.
E' l'ex sindaco ed ex deputato di Rosarno. Da sempre militante nel Partito Comunista Italiano, ha lottato per anni affianco ai braccianti e ai contadini di Rosarno, costruendo un grande movimento anti-mafia che portò Rosarno ad essere il primo Comune costituitosi parte civile in un processo anti-mafia. Negli anni in cui fu sindaco (dal '95 al 2003) cercò di dare accoglienza ai lavoratori immigrati e di costruire dialogo tra loro e la cittadinanza. Oggi si è ritirato dalla vita politica ed è memoria storica fondamentale per la società rosarnese. 
C’è poi un’ultima piccola ma forte intervista, ad un ragazzo ghanese, SALIS, un rastaman incontrato dentro alla Fabbrica dell’Opera Sila, quella dove oltre 1500 africani hanno vissuto prima di essere cacciati. Quando abbiamo filmato la Fabbrica era vuota, ma ancora completamente piena di vestiti, scarpe, cibo, tende, coperte, documenti, libri, fotografie, tutti beni abbandonati dai braccianti africani al momento della fuga. Il ragazzo ghanese stava cercando qualcosa e noi l’abbiamo seguito. 

IMMAGINI DI REPERTORIO
Le immagini di repertorio utilizzate nel documentario sono tratte da:
"Metaponto, via del tabacco" di Libero Bizzarri (1966)
"Essere Donne" di Cecilia Mangini (1965)
"Noi contadini" di Antonio Martini (1971)
"La Radiografia della Miseria" di Piero Nelli (1967)
grazie alla collaborazione di AAMOD - Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico e della Fondazione Libero Bizzarri. 
MUSICHE
Oltre alle musiche originali della Piccola Bottega Baltazar con cui Andrea Segre collabora da oltre 3 anni (La Mal'ombra, Come un uomo sulla terra Magari le cose cambiano) nel film vi sono dei brani di THE XX, K'naan e Giovan Battista Pergolesi.